Pur comportando spesso un importante dolore persistente, le frequentissime artrosi dell’anca e del ginocchio sono patologie di interesse ortopedico più che algologico: il loro trattamento di elezione è, infatti, l’eliminazione del danno dell’articolazione con un misura radicale che è la sostituzione dell’articolazione con la protesi rispettivamente dell’anca o del ginocchio.
Nei pazienti con sintomatologia di recente insorgenza, in qualche caso possono essere utili i trattamenti infiltrativi locali e l’impiego dei FANS ma queste misure terapeutiche, col passare del tempo, diventano insufficienti.
Resta il problema che in alcuni pazienti anziani o con gravi patologie associate l’intervento protesico è controindicato per motivi anestesiologici: in questi casi le uniche alternative per controllare il dolore sono:
1) la continua somministrazione di analgesici inclusa la morfina con risultati soltanto parziali, cioè con un discreto controllo del dolore a riposo ma non durante la deambulazione che è spesso gravemente ostacolata;
2) la Cordotomia Cervicale Percutanea che in molti pazienti è l’unica possibilità per dominare il dolore specialmente quello presente quando il paziente è in piedi o cammina.
N.B.: nei pazienti con importante dolore da artrosi dell’anca o del ginocchio che non possono essere sottoposti all’intervento di protesi, la Cordotomia Cervicale Percutanea può essere l’unica possibile soluzione antalgica.
Una strategia terapeutica razionale è quella di provare prima un trattamento analgesico farmacologico e di eseguire la Cordotomia se questo è insufficiente o non tollerato.
Nonostante i progressi dell’oncologia ed i moderni metodi di cura dei tumori, spesso nella sua evoluzione il cancro s’accompagna a dolori severi. Tali dolori sono presenti nel 20-50% dei pazienti con cancro in fase iniziale (alla diagnosi) ed in più del 70% di quelli in fase avanzata e terminale.
Si può calcolare che in Italia il dolore affligga da 30.000 a 70.000 pazienti per anno all’epoca della diagnosi del tumore e 100.000 pazienti per anno nella fase avanzata/terminale.
Per fortuna, questi dolori possono essere controllati. A questo scopo si dispone oggi di vari metodi di cura che devono essere scelti in base ai meccanismi che producono il dolore: tale scelta, quindi, è compito dell’algologo.
Il dolore da cancro può essere dovuto a tutti i meccanismi in grado di produrre dolore: tali meccanismi, inoltre, possono essere variamente combinati nelle diverse situazioni cliniche, conducendo a quadri clinici complessi. Questo ci fa capire che la comune dizione “dolore da cancro” non basta a descrivere la clinica e che tale dolore costituisce una formidabile sfida diagnostica e terapeutica ed un problema di difficile soluzione per il medico non specialista in algologia.
Per comprendere la complessità dei possibili quadri clinici, si tenga presente che il dolore da cancro può essere dovuto a:
1. l’invasione tumorale della pelle, dei muscoli, delle ossa e delle articolazoni. La crescita del tumore in queste sedi può comportarne la compressione o l’infiltrazione con sostituzione del tessuto normale con quello patologico, assieme ad una reazione infiammatoria che produce, oltre il dolore, anche la febbre e l’astenia, frequenti in questi pazienti;
2. l’invasione tumorale dei visceri. Oltre la reazione infiammatoria, nel caso dei visceri cavi è possibile che vi sia la compressione di un canale che trasporta un liquido organico, per esempio le vie biliari o l’uretere (per cui il liquido ristagna sopra l’ostruzione, distendendo il canale). L’eccessiva distensione delle vie biliari o dell’uretere provoca la contrazione della muscolatura delle loro pareti, responsabile delle “coliche”. Nel caso dei visceri pieni (come il fegato), l’invasione tumorale può comportare l’aumento di volume del viscere con dolore da distensione della capsula di rivestimento;
3. l’invasione tumorale dei nervi. La crescita di un tumore in prossimità dei nervi può produrre un dolore da infiammazione del nervo o da distruzione del nervo. Quest’ultimo dolore, che definiamo neuropatico, è uno dei più difficili da curare.
Riconosciuto il meccanismo che produce il dolore, si deve decidere la terapia. La decisione va presa in base:
1. al meccanismo che produce il dolore,
2. alla distribuzione del dolore
3. alla fase di malattia, all’aspettativa di vita del paziente, al suo atteggiamento psicologico, alle sue preferenze terapeutiche, alle sue abitudini di vita e di lavoro ed alla sue reali aspettative.
IMPORTANTE PER I PAZIENTI E I LORO FAMILIARI
Per quel che concerne la fase di malattia e l'aspettativa di vita, i pazienti ed i familiari che li assistono e li supportano nelle decisioni terapeutiche devono avere ben chiare due diverse possibili situazioni che sono quella del paziente terminale e quella del paziente con lunga aspettativa di vita. Distinguere queste due diverse situazioni è fondamentale perchè sono molto diversi gli obiettivi da perseguire e le decisioni terapeutiche da prende nell'una o nell'altra.
La situazione del paziente terminale
Il paziente terminale è quello che prevedibilmente vivrà soltanto qualche settimana o pochi mesi e, di solito, oltre il dolore ha anche una serie di disturbi generali quali l'inappetenza e la nausea, una tipsi ostinata (non di rado dovuta ai farmaci), la tosse, il malessere generale, un più o meno rilevante stato depressivo, la facile stancabilità, a volte la difficoltà a concentrarsi, la sonnolenza e molti altri. Questo paziente dev'essere seguito dai medici che si occupano di cure palliative e richiede un'assistenza generale più o meno intensiva ed una complessa terapia farmacologica che quasi sempre include l'uso della morfina (o similari) a dosaggi progressivamente crescenti e spesso il ricorso ad una più o meno profonda sedazione.
La situazione del paziente con lunga aspettativa di vita
Molto diversa dalla tragica situazione del paziente terminale è quella del paziente che, sebbene affetto da cancro, ha un'aspettativa di vita di qualche anno o per lo meno di molti mesi e che ha il dolore come unico o principale disturbo.
Si tratta, in questo caso, di un paziente che ha una vita di relazione pressochè normale, che guida l'automobile, che, se è in età lavorativa, continua ad esercitare le sue abituali attività, che ha normali capacità intellettive e decisionali e che è limitato soltanto dalla presenza del dolore. Si tenga presente che questo dolore può anche essere molto severo e invalidante (si pensi al dolore delle plessopatie lombosacrali o cervicobrachiali), che ostacoli il sonno ed impedisca il riposo e che sia tale da far sì che il paziente non riesca a concentrasi su null'altro che non sia il dolore stesso.
Per questo dolore, il medico non specializzato in algologia non potrà fare altro che prescrivere la morfina (o i suoi analoghi, come cerotti e similari) in dosi elevate e progressivamente crescenti ottenendo, da un lato, un controllo del dolore solo parziale e dall'altro più o meno importanti effetti collaterali, specie una stitichezza ostinata, la nausea e il vomito con riduzione dell'assunzione del cibo e conseguente dimagrimento, un certo grado di sedazione e sonnolenza con riduzione delle capacità intellettive e della concentrazione mentale. Non si scordi neppure che il paziente che assume morfina (o i suoi analoghi) non dovrebbe guidare l'automobile e neppure adoperare attrezzi potenzialmente pericolosi come seghe elettriche, falciatrici, tagliaerba e simili.
Per questo paziente non è sufficiente l'assistenza del medico che si occupa delle cure palliative ed è necessaria la consulenza dell'algologo per valutare la possibilità di applicare le tecniche antalgiche specialistiche in grado di controllare il dolore possibilmente senza il ricorso alla morfina (e ai suoi analoghi).
PRINCIPALI ESPRESSIONI DEL DOLORE DA CANCRO
Quella che segue, lungi dal pretendere di essere una trattazione completa o specialistica delle espressioni cliniche del dolore da cancro, vuole semplicemente essere una facile guida per il paziente ed i suoi familiari sulle situazioni più frequenti del dolore da cancro, dividendole per le sedi dove può essere presente il dolore.
Dolore alla faccia
Il paziente ha dolore nella guancia, nella bocca o nella lingua con carattere bruciante o simile ad un taglio che si aggrava ad ogni movimento della bocca (anche solo parlando) e rende difficile (talvolta impossibile) l'alimentazione perchè ogni minimo movimento masticatorio l'aggravano in maniera importante. L'alimentazione è ostacolata anche perchè il semplice contatto del cibo con la mucosa della bocca o della lingua aggravano momentaneamente il dolore. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica della bocca, della lingua e della guancia e configura la "sindrome da invasione neoplastica della cute e delle mucose" che s'incontra nei tumori del faringe, del laringe, del cavo orale e della lingua.
Dolore al braccio
Prima situazione: il paziente ha un dolore alla scapola ed al braccio dello stesso lato che dapprima assomiglia a una periartrite e poi a una cervicobrachialgia. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica dei nervi cervicali inferiori diretti al braccio in prossimità della loro emergenza dalla colonna vertebrale (radici nervose) o lungo il loro decorso. Il dolore è presente anche a riposo e si aggrava col movimento del braccio o anche semplicemente con lo stare in piedi. In questo caso si configura la "radicolo-plessopatia brachiale" che s'incontra nei tumori del polmone (carcinoma broncogeno) e soprattutto nel tumore dell'apice polmonare (tumore di Pancoast).
Seconda situazione: il paziente ha un dolore alla spalla che inizialmente assomiglia ad una periartrite. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica dell'articolazione della spalla. I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo e si aggravano in maniera importante ad ogni minimo movimento attivo e passivo del braccio (che il paziente mantiene assolutamente fermo, appoggiato al tronco e in qualche modo sostenuto e fermato dalla mano del lato sano...). In questo caso si configura la "sindrome da invasione neoplastica dell'articolazione della spalla".
Dolore al torace
Il paziente ha dolore lungo una striscia alta qualche centimetro che segue una metà del torace. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica di un nervo toracico in prossimità della sua emergenza dalla colonna vertebrale (radice nervosa) o lungo il suo decorso (nervo intercostale). I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo e si aggravano con la compressione su qualche punto lungo il decorso del nervo o con i movimenti respiratori. In questo caso si configura la "radicolopatia toracica" che s'incontra più spesso nei tumori del polmone (carcinoma broncogeno).
Il paziente ha dolore in un'estesa porzione del torace su un lato solo (a destra o a sinistra) o su entrambi. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica della pleura, dei muscoli e delle coste nella parete toracica e configura la "sindrome costopleurica" che s'incontra nei tumori del polmone (carcinoma broncogeno) e della pleura (mesotelioma). I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo ma si aggravano con la compressione del torace (il paziente non può stare coricato su quel lato), con i movimenti respiratori (il paziente ha un momentaneo aggravamento del dolore ad ogni inspirazione) e spesso con qualsiasi movimento.
Dolore all'addome
Il paziente ha dolore nella parte superiore dell'addome (appena sotto il costato) su un solo lato (a destra o a sinistra) o su entrambi. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica dei visceri dell'addome superiore e configura la "sindrome dell'addome alto" (che s'incontra nei tumori dello stomaco e soprattutto del pancreas). I sintomi sono pressochè costanti e di solito si aggravano quando il paziente è in piedi o coricato e migliorano leggermente quando è seduto (spesso egli è costretto a dormire seduto...).
Il paziente ha dolore in un'estesa porzione dell'addome su un solo lato (a destra o a sinistra) o su entrambi. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica del peritoneo e dei muscoli nella parete dell'addome e configura la "sindrome dell'addome congelato" (che s'incontra nei tumori dello stomaco, del fegato e delle vie biliari) e la "sindrome della pelvi congelata" (che s'incontra nei tumori del colon, del retto, della vescica, dell'utero e dell'ovaio). I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo ma si aggravano con la compressione dell'addome.
Dolore alla schiena
Il paziente ha un dolore più o meno esteso lungo qualche tratto della colonna vertebrale che assomiglia a quello dovuto ad una frattura vertebrale. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica delle vertebre. I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo e si aggravano con la pressione sulla sede ammalata e ad ogni minimo movimento del tronco. In questo caso si configura la "sindrome da invasione neoplastica della colonna vertebrale".
Dolore all'ano ed al perineo
Il paziente ha dolore all'ano, alla vulva, al perineo ed alle natiche. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica del piano perineale e configura la "sindrome del dolore ano-perineale" (che s'incontra nei tumori del retto, dell'ano, della vescica, della vulva e della vagina). I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo ma si aggravano con la compressione del perineo (il paziente non può stare seduto...).
Il paziente ha dolore all'ano, alla vulva, al perineo con carattere bruciante o simile ad un taglio che si aggrava ad ogni contatto e rende estremamente penoso non solo l'accudire alla pulizia personale ma anche lo stare seduti e talvolta persino la defecazione perchè queste operazioni l'aggravano in maniera importante. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica dell'ano, della vulva e del perineo e configura la "sindrome da invasione neoplastica della cute e delle mucose" che s'incontra più spesso nelle fasi avanzate dei tumori dell'ano, del retto e della vulva.
Dolore alla gamba
Il paziente ha un dolore alla natica, alla coscia e talvolta alla gamba ed al piede su un lato solo (il destro o il sinistro) o su entrambi simile ad una sciatica. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica dei nervi lombosacrali diretti alla gamba in prossimità della loro emergenza dalla colonna vertebrale (radici nervose) o lungo il loro decorso. I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo e si aggravano col movimento della gamba (camminando) o col peso sulla gamba (stando in piedi). In questo caso si configura la "radicolo-plessopatia lombosacrale" che s'incontra più spesso nei tumori dell'addome (colon, retto) ma anche in quelli di sedi distanti che hanno prodotto localizzazioni secondarie nell'addome o nella pelvi (spesso i tumori del polmone).
Il paziente ha dolore nella parte superiore della coscia ed all'inguine che inizialmente assomiglia a quello dell'artrosi dell'anca. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica dell'articolazione dell'anca. I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo e si aggravano in maniera importante ad ogni minimo movimento attivo e passivo della gamba (il paziente non può camminare e neppure stare in piedi senza avvertire un importante aggravamento del dolore...). In questo caso si configura la "sindrome da invasione neoplastica dell'articolazione dell'anca".
Il paziente ha un dolore diffuso su tutto il ginocchio che inizialmente assomiglia a quello dell'artrosi del ginocchio. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica dell'articolazione del ginocchio. I sintomi sono abitualmente presenti anche a riposo e si aggravano in maniera importante ad ogni minimo movimento attivo e passivo della gamba (il paziente non può camminare e neppure stare in piedi senza avvertire un importante aggravamento del dolore...). In questo caso si configura la "sindrome da invasione neoplastica dell'articolazione del ginocchio".
Il paziente ha un dolore in corrispondenza della piega dell'inguine con carattere bruciante o simile ad un taglio che si aggrava ad ogni movimento della gamba o toccamento (anche solo uno sfioramento) della piega dell'inguine, rendendo estremamente penoso l'accudire alla pulizia personale ed anche lo stare seduti. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica della cute dell'inguine e configura la "sindrome da invasione neoplastica della cute e delle mucose".
Il paziente ha un dolore in corrispondenza della piega dell'inguine con carattere bruciante o simile ad un taglio che si aggrava ad ogni movimento della gamba o toccamento (anche solo uno sfioramento) della piega dell'inguine, rendendo estremamente penoso l'accudire alla pulizia personale ed anche lo stare seduti. Questo dolore è dovuto all'invasione neoplastica della cute dell'inguine e configura la "sindrome da invasione neoplastica della cute e delle mucose".
METODI PER CURARE IL DOLORE DA CANCRO
Le principali metodiche per controllare il dolore da cancro consistono in: 1. trattamenti farmacologici (preferibilmente per via orale) con gli analgesici (anti-infiammatori e morfinici) se il dolore dipende dall'invasione tumorale della pelle, dei muscoli, delle ossa, delle articolazoni e dei visceri o con i farmaci per il dolore neuropatico se il dolore dipende dall'invasione tumorale dei nervi. 2. trattamenti farmacologici per via spinale. La scelta della via spinale (che può essere peridurale o subaracnoidea) ha il vantaggio di consentire una netta riduzione del dosaggio di farmaco (specie la morfina) perché questo, anziché attraverso il sangue, raggiunge il “bersaglio” direttamente, e lo svantaggio di richiedere l’impianto di un catetere nello spazio peridurale o in quello subaracnoideo. 3. tecniche neurolesive: 1. Neurolisi del plesso celiaco e dei nervi splancnici 2. Cordotomia Cervicale Percutanea 3. Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza
CHI ESEGUE LA TERAPIA DEL DOLORE DA CANCRO?
La pianificazione del programma terapeutico dovrebbe essere compito dell’algologo. Per quanto riguarda l’attuazione pratica del programma, tutti medici possono (e devono) eseguire la terapia del dolore da cancro, facendo però alcune precisazioni. I trattamenti farmacologici per via orale (intramuscolare o sottocutanea) possono essere eseguiti da qualsiasi medico (il medico di famiglia o l’oncologo) mentre i trattamenti per via spinale richiedono l’intervento dell’algologo. Infine, i trattamenti neurolesivi richiedono l’intervento di un algologo specificamente esperto nell’esecuzione di quelle metodiche.
Il dolore che dalla regione lombare s’irradia all’arto inferiore, più spesso nel territorio del nervo sciatico, da cui il nome popolare “sciatica” dipende dalla patologia dei nervi (radici) che, emergendo dalla colonna vertebrale, si portano all’arto inferiore
Il concetto di sciatica è abitualmente correlato a quello di ernia del disco. A sua volta l’ernia del disco è considerata come una massa che esce dalla sua sede normale e comprime il nervo che incontra nella sua migrazione.
In realtà, questo meccanismo compressivo non è la causa più frequente della sciatica come abitualmente si crede: molti pazienti, infatti, hanno la sciatica senza avere la compressione nervosa ed altri hanno ernie discali con compressione nervosa senza sciatica. Da questo si deduce che la correlazione fra l’ernia del disco, la compressione nervosa e la sciatica non è affatto costante.
Per capire come può esservi la sciatica senza la compressione nervosa si deve tener presente che essa può dipendere oltre che da un meccanismo "compressivo" anche da un meccanismo irritativo "chimico".
Per capire la sciatica prodotta dal meccanismo irritativo "chimico", si tenga presente che il disco intervertebrale è formato da un anello di tessuto fibroso (anulus fibrosus) dentro il quale è contenuto un materiale semifluido (il nucleo polposo). In un disco sano, questo materiale semifluido è rigidamente confinato nell’anulus fibrosus e non può venire a contatto d’altri tessuti. Quando l’anulus fibrosus si rompe, il nucleo polposo esce dalla sua sede normale o massivamente come ernia del disco o goccia a goccia producendo un gemizio di materiale che incontra un nervo spinale nello spazio peridurale.
Poiché, come s’è detto, in condizioni normali il nucleo polposo non entra a contatto con nessun altro tessuto del corpo, quando questo contatto si verifica il primo tessuto che il nucleo polposo incontra lo riconosce come un corpo estraneo e sviluppa nei suoi confronti una risposta infiammatoria. Questo tessuto è il nervo spinale che, andando incontro ad un fatto infiammatorio, produce sul piano clinico il dolore lungo l’arto inferiore, spesso fino al piede.
Il meccanismo dell’irritazione chimica spiega il benefico effetto terapeutico del blocco peridurale selettivo nella cura della sciatica. Con esso, infatti, si porta l’anti-infiammatorio (il cortisone) sulla struttura nervosa dov’è l’infiammazione.
N.B.: Non si cada nell’errore di ritenere che la diagnosi di sciatica implichi la presenza causale dell’ernia del disco e che questa, in quanto massa, debba necessariamente essere rimossa chirurgicamente.
Non si dimentichino neppure i due concetti che seguono:
la sciatica tende a guarire spontaneamente;
gli interventi di asportazione dell’ernia discale sono gravati da una possibile complicanza che consiste nella fibrosi perdurale attorno alle radici nervose responsabile a sua volta di una irritazione cronica della radice stessa, ben più grave della patologia che si voleva curare.
Per quanto precede, l’indicazione chirurgica va riservata ai casi dove più che il dolore vi sono importanti ed invalidanti deficit neurologici che non mostrano tendenza a migliorare con le cure conservative. Tutti gli altri casi devono essere trattati con mezzi conservativi e i casi con dolore persistente e scarsamente responsivo agli analgesici richiedono il blocco peridurale selettivo.
Il dolore nella regione lombare può dipendere dalla patologia dei nervi (radici) che emergendo dalla colonna vertebrale si portano all’arto inferiore (sciatica), dalla malattia del disco intervertebrale (sindrome del dolore discale), di una vertebra (sindrome lombalgica da collasso vertebrale), di un muscolo della regione lombare (sindrome miofasciale) o di un’articolazione delle vertebre lombari (sindrome delle faccette articolari).
Sindrome del dolore discale
Sindrome lombalgica da collasso vertebrale
Sindrome miofasciale (dolore da danno muscolare funzionale e trigger points)
Una frequentissima causa di dolore lombare è la presenza di trigger points (punti grilletto) muscolari. Essi sono responsabili di un dolore persistente o ricorrente, riferito a particolari gruppi muscolari, diversi e specifici a seconda della sede del trigger point (Figura 25). Va subito detto che i trigger points non sono una realtà anatomica ma funzionale: essi consistono in circoscritte zone del muscolo dove i nocicettori (i recettori nervosi che raccolgono gli stimoli atti a provocare il dolore) sono ipereccitabili (per l’azione locale di prodotti tossici derivanti dal danno dei tessuti?). Il tratto di muscolo dove risiede il trigger point si trova in una banda muscolare in contrattura: questo è tutto ciò che può essere toccato con mano del fenomeno trigger point.
I trigger points miofasciali possono essere attivi, latenti o estinti. I trigger points attivi provocano dolore, riduzione dell’ampiezza dei movimenti, rigidità muscolare (specie dopo un periodo d’immobilità del muscolo, come la mattina al risveglio) ed iperattività vasomotoria (pallore durante la digitopressione sui trigger points) mentre quelli latenti, non provocano dolore ma soltanto debolezza muscolare e riduzione dell’ampiezza del movimento del muscolo che li ospita. Un trigger points latente può diventare attivo a seguito dell’affaticamento del muscolo, di un trauma diretto su di esso, del suo raffreddamento o nel corso di una malattia virale acuta. I trigger points attivi sono più frequenti nei muscoli fisiologicamente impegnati nel controllo della postura come il trapezio, gli sternocleidomastoidei, l’elevatore della scapola ed il quadrato dei lombi.
Con l’indice ed il medio della mano sinistra l’operatore percepisce un guizzo del muscolo, vale a dire una rapida e fugace contrattura (la local twitch response) che s’accompagna a dolore locale, nell’attimo in cui la punta dell’ago entra nella taut band. Osservare come l’ago è micrometricamente manovrato dalla mano destra che, appoggiata sul dorso della sinistra, controlla la siringa tenendola fra l’indice ed il medio
Va sottolineato che la sede del trigger points è dolente alla palpazione ma non spontaneamente: in altre parole, il dolore prodotto dai trigger points non è dov’essi si trovano ma in sedi diverse (target areas o zone bersaglio). In altre parole, il trigger points (punto grilletto) si comporta come il grilletto di un fucile che quando viene premuto spara il dolore nella corrispondente zona bersaglio (target area).
La palpazione dei trigger points induce: a) il dolore locale (per stimolazione della banda muscolare in contrattura e non del trigger points); b) il jump sign (segno del salto) che è una vistosa reazione di evitamento del paziente alla digitopressione dell’area dove risiedono il trigger point e la banda muscolare il contrattura; c) il dolore riferito nella target area.
Un altro riscontro pressochè costante quando il trigger point è abbastanza superficiale è la local twitch response. Il fenomeno consiste nel fatto che durante l’infiltrazione del trigger point l’esaminatore, appoggiando i polpastretti in corrispondenza della sede del trigger, apprezza un guizzo del muscolo, vale a dire una rapida e fugace contrattura che si accompagna a dolore locale.
Sindrome delle faccette articolari
Le faccette articolari sono le articolazioni posteriori fra le vertebre: vi sono due articolazioni (una per lato) tra ogni vertebra e quella sottostante, quindi nella colonna lombare che è composta di 5 vertebre abbiamo 10 articolazioni a destra e 10 a sinistra (Figura…). La sindrome delle faccette articolari lombari sarebbe dovuta all'irritazione delle articolazioni posteriori fra le vertebre dovuta all'asimmetria delle superficie articolari dei due lati. La diagnosi si basa sul rilievo di un dolore che dalla regione lombare paraspinale s’irradia a quella inguinale e nella parte prossimale delle regioni anteriore e laterale della coscia o, meno spesso, nelle regioni glutea e posteriore della coscia o nella cresta iliaca.
Il dolore è aggravato dall’estensione del tronco e dalla rotazione controlaterale al lato affetto nonché dal prolungato ortostatismo e dalla posizione seduta ed è migliorato dal riposo a letto e, in ortostatismo, dalla flessione del tronco. S’associano i riscontri di una tender area nella regione lombare paraspinale (sopra le faccette articolari) e della rigidità della colonna lombare, senza deficit neurologici. Infine, concomitano anomalie morfologiche delle faccette articolari evidenziate dalla TAC.
Si tenga presente che clinicamente la sindrome delle faccette articolari lombari può essere sospettata ma non accertata. Neppure gli esami strumentali sono dimostrativi e l’unica conferma diagnostica è fornita dal blocco anestetico della faccetta sospettata, eseguito sotto controllo fluoroscopico, quando abolisce completamente il dolore ed il mezzo di contrasto è confinato nella faccetta bersaglio.
Considerato che due importanti cause di lombalgia sono la scompaginazione interna del disco e l’irritazione delle articolazioni zigoapofisarie e che per alcuni anche il dolore da stiramento lombare deriva dalla patologia discale, resta aperto il dibattito su qual’è la lesione iniziale e quella compensatoria. Il dolore lombare sarebbe prodotto dalla patologia delle faccette nel 15-40% dei casi e dalla patologia discale nel 40% dei casi.
N.B.: Da questo precede emerge l’importanza di una diagnosi precisa pur nell’ambito di una espressione clinica che sembra così facile da capire.
La nevralgia del trigemino figura spesso fra i sintomi della sclerosi multipla, presentandosi con un dolore facciale a pugnalata o a scarica elettrica, per lo più unilaterale, scatenato dal toccamento di qualche parte del viso, dal parlare, dal masticare, dal bere, dall’esporsi al freddo o ad un semplice soffio di vento. Nelle zone facciali interessate dal dolore, l’esame clinico evidenzia una sensibilità normale o piccole zone “intoccabili” che se appena sfiorate scatenano l’attacco doloroso. A volte, l’esame evidenzia anche una lieve riduzione della sensibilità o l’indebolimento del riflesso corneale.
Terapia farmacologica
Come la nevralgia del trigemino essenziale, anche quella nella sclerosi multipla risponde ai farmaci antiepilettici (carbamazepina, oxacarbazepina, difenilidantoina, lamotrigina e gabapentin, pregabalin). Anche in questo caso, al di fuori di questi farmaci, è inutile qualsiasi altra terapia farmacologica e sono inefficaci l’agopuntura e le infiltrazioni. Poichè la nevralgia può avere andamento periodico, ciascuno di questi trattamenti può sembrare efficace se, dopo qualche settimana o mese di terapia, la nevralgia del trigemino va in remissione spontanea, lasciando credere che questa sia dovuta alla cura…
Terapia chirurgica
Anche nella nevralgia del trigemino nella sclerosi multipla la terapia di prima scelta è quella farmacologica con gli antiepilettici ed il ricorso alla terapia chirurgica è giustificato se i farmaci sono insufficienti, non tollerati o non applicabili per la scarsa collaborazione del paziente che “dimentica” o “rifiuta” di assumerli alle posologie ed agli orari indicati. A proposito della tollerabilità dei farmaci, va osservato che spesso nei pazienti con sclerosi multipla la carbamazepina ed i suoi analoghi riducono le residue capacità di movimento del paziente. Questo rappresenta sovente un problema grave: il farmaco, infatti, controlla la nevralgia ma peggiora la qualità di vita del paziente riducendone l’autonomia. In questi casi, s’impone il ricorso alla terapia chirurgica. A questo proposito, si rammenta che la Decompressione microvascolare non è indicata perché la causa non è il conflitto neurovascolare, mentre è indicata la Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza.
In sintesi, quel che è importante che il paziente con nevralgia del trigemino in sclerosi multipla sappia è che:
- il suo dolore facciale può essere curato;
- per curarlo spesso non si può usare la terapia farmacologica perché questa compromette troppo la sua capacità di muoversi;
- la scelta ottimale è la Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza.
Secondo gli studi degli anni ’60, la nevralgia del trigemino interesserebbe soltanto 5 nuovi pazienti l’anno/100.000 abitanti.
E’ verosimile che oggi, con l’invecchiamento della popolazione, i pazienti che ogni anno vanno incontro alla malattia siano più di quelli segnalati dagli studi epidemiologici e siano destinati ad aumentare ancora.
La nevralgia del trigemino si presenta con un dolore facciale descritto come una pugnalata o una scossa elettrica, sempre nella stessa sede (a carico della I, della II o della III branca del trigemino o di una loro combinazione), della durata di pochi istanti, che si ripete molte volte il giorno. Esso è provocato da ogni piccolo movimento (parlare, masticare e bere) o sfioramento del viso (lavarsi la faccia o i denti, radersi od anche solo un soffio di vento).
La diagnosi non è difficile ma spesso si vedono pazienti etichettati come sofferenti di nevralgia del trigemino e trattati (senza successo) con i farmaci specifici che hanno in realtà un dolore facciale d’altra natura e, per contro, pazienti con nevralgia del trigemino, sottoposti ad inutili estrazioni dentarie…Molti pazienti giungono all’osservazione dell’algologo dopo essere stati privati di tutti i denti nella vana speranza di controllare un dolore che, anche se è avvertito nei denti, non dipende da una malattia dei denti.
N.B.: Posta la diagnosi, la nevralgia del trigemino può essere curata con successo in quasi tutti i pazienti.
Ogni paziente con nevralgia del trigemino dev’essere sottoposto ad uno studio TAC o RMN per escludere una causa tumorale (presente nell’1-2% dei casi). Esclusa questa causa, che se c’è richiede un trattamento neurochirurgico diretto a rimuovere il tumore, si deve trattare la nevralgia in quanto tale, con i mezzi adeguati.
Alcuni concetti devono essere tenuti a mente:
- sono inefficaci i comuni antidolorifici (persino la morfina),
- sono inutili i polivitamici, i neurotrofici ed altri prodotti similari e non è indicata nessuna terapia fisica (TENS, laserterapia, magnetoterapia, agopuntura, eccetera).
CURA DELLA NEVRALGIA DEL TRIGEMINO
La cura della nevralgia del trigemino si basa su due linee di trattatamento che sono:
- la terapia farmacologia con gli antiepilettici
- la terapia chirurgica.
...se i farmaci sono efficaci e tollerati, la cura si basa sulla loro regolare e disciplinata assunzione: se, come accade in circa la metà dei casi, i farmaci non sono tollerati o non sono efficaci, si deve ricorrere al trattamento chirurgico.
La terapia farmacologica
La terapia farmacologia consiste nell'uso dei seguenti farmaci antiepilettici:
- Carbamazepina
- Oxacarbazepina
- Difenilidantoina
- Lamotrigina
- Gabapentin
- Pregabalin
Si dice che la nevralgia del trigemino risponde ai farmaci antiepilettici: questo non significa che la nevralgia del trigemino è assimilabile in qualche modo all'epilessia. In realtà, questi farmaci esercitano un'azione farmacologica (che consiste nella "chiusura" dei canali ioni del sodio) che è utile a controllare una disfunzione nervosa presente sia nell'epilessia che nella nevralgia del trigemino.
La terapia chirurgica
Le cure chirurgiche consistono in alcune procedure percutanee poco invasive (fra le quali quella più efficace è la termorizotomia trigeminale a radiofrequenza) ed un intervento "a cielo aperto" (la decompressione microvascolare che prevede la craniotomia).
LA TERMORIZOTOMIA TRIGEMINALE A RADIOFREQUENZA
La Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza prevede l’inserimento di un ago nel forame della base cranica attraverso il quale il trigemino esce dal cranio. Raggiunta la radice del nervo si invia una corrente a radiofrequenza che produce il riscaldamento del tessuto nervoso in quella sede, responsabile della distruzione di un certo numero di fibre nervose con conseguente controllo del dolore e parziale riduzione della sensibilità facciale nella sede del dolore.
LA DECOMPRESSIONE MICROVASCOLARE
Basata sull'ipotesi che la nevralgia del trigemino sia dovuta alla compressione della radice del trigemino da parte di un'arteria con decorso anomalo, la Decompressione microvascolare prevede l’apertura del cranio per raggiungere la radice del trigemino ed interporre fra questa e l’arteria con decorso anormale una spugnetta che impedisce all’arteria di comprimere la radice.
La scelta fra i due interventi è subordinata alle seguenti considerazioni:
se il paziente è giovane (in questo caso se ha meno di 60 anni) ed è in buone condizioni generali (non ha malattie del cuore o dei polmoni, non è diabetico, non soffre di ipertensione arteriosa, eccetera) si considera l'opportunità di eseguire la Decompressione microvascolare. In questo caso il paziente dev'essere sottoposto a Risonanza Magnetica Nucleare per accertare se c'è realmente la compressione della radice del trigemino da parte di un'arteria (il cosiddetto "conflitto neurovascolare"). Se la Risonanza Magnetica Nucleare non visualizza la compressione della radice del trigemino da parte dell'arteria si esclude categoricamente l'intervento di Decompressione microvascolare (...in questo caso non c'è nulla da "decomprimere"...) e si propone al paziente la Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza. Al contrario, se la Risonanza Magnetica Nucleare ha visualizzato la compressione della radice del trigemino da parte dell'arteria si propone al paziente la Decompressione microvascolare, spiegandogli quanto segue:
la Termorizotomia trigeminale elimina il dolore della nevralgia del trigemino lasciando una riduzione della sensibilità facciale nella sede dove prima c'era il dolore. Questo significa che in quella sede dopo l'intervento il paziente avvertirà un pò meno il tatto ed avvertirà la puntura come se fosse un semplice toccamento;
il controllo del dolore da nevralgia del trigemino dopo la Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza può essere definitivo o durare qualche anno: statisticamente, è prevedibile che 5 anni dopo l'intervento metà dei pazienti siano ancora senza dolore e metà abbiano di nuovo dolore e richiedano la ripetizione della procedura;
un concetto che il paziente deve avere ben chiaro è il seguente: più la Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza produce riduzione della sensibilità facciale nella sede dove prima c'era il dolore e più si mantiene il risultato dell'intervento...Al contrario, più è lieve la riduzione della sensibilità facciale e più è probabile che il paziente abbia una precoce recidiva del dolore...Per contro, più la Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza produce riduzione della sensibilità facciale e più è probabile che il paziente abbia dopo l'intervento "disturbi da denervazione" che consistono in spiacevoli sensazioni di formicolio, di bruciore, di punture di spilli e di fastidiso intorpidimento del viso...Quindi, il minimo grado di riduzione della sensibilità facciale sufficiente a controllare il dolore della nevralgia del trigemino dev'essere considerato il risultato ottimale anche se espone al rischio di una relativamente precoce recidiva del dolore (qualche anno): in questo caso, la Termorizotomia trigeminale può essere ripetuta senza problemi particolari;
si tenga presente che l'esecuzione della Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza è assolutamente indolore e comporta un ricovero di 1-2 giorni senza particolari rischi operatori: quindi, la ripetizione dell'intervento in caso di recidiva del dolore dopo qualche anno rappresenta un disagio realmente minimo per il paziente...Per contro, l'aver prodotto una marcata riduzione della sensibilità facciale del viso con l'obiettivo di rendere permanente il risultato dell'intervento espone il paziente al rischio di avere i "disturbi da denervazione" prima descritti...questo è il vero ed unico rischio della procedura;
la Decompressione microvascolare elimina il dolore della nevralgia del trigemino senza riduzione della sensibilità facciale nella sede dove prima c'era il dolore. Questo è il risultato ottimale che però non è sempre conseguibile: tralasciando le complicanze maggiori, dopo l'intervento, infatti, può residuare una riduzione dell'udito e non è infrequente la riduzione della sensibilità facciale nella sede dove prima c'era il dolore;
il controllo del dolore da nevralgia del trigemino dopo la Decompressione microvascolare può essere definitivo o durare qualche anno: statisticamente, è prevedibile che 10 anni dopo l'intervento metà dei pazienti siano ancora senza dolore e metà abbiano di nuovo dolore;
se il paziente è anziano (in questo caso se ha più di 60 anni) o non è in buone condizioni generali (ha malattie del cuore o dei polmoni, è diabetico, soffre di ipertensione arteriosa, eccetera) si scarta in ogni caso la Decompressione microvascolare che esporrebbe a rischi eccessivi. In questo caso il paziente dev'essere sottoposto alla Termorizotomia trigeminale a radiofrequenza.
E’ abbastanza frequente, specie negli anziani, la comparsa improvvisa di un intenso bruciore lungo una striscia del torace o dell’addome o in una parte del viso (la fronte, l’orbita e la tempia). Avvertito soprattutto sulla pelle, questo dolore s’accompagna a chiazze rossastre e piccole bolle confluenti le une nelle altre. Si ha allora il quadro ben noto nella cultura popolare come “fuoco di Sant Antonio” e in medicina col nome di “herpes zoster”. La malattia è prodotta da un’infezione virale con una storia abbastanza particolare. Un certo tipo di virus, infatti, provocherebbe nel bambino una delle comuni malattie dell’infanzia: la varicella. Questa malattia dell’infanzia guarisce senza problemi ma il virus resta annidato in alcune stazioni nervose e molti anni dopo, quando ormai l’individuo è adulto e spesso addirittura anziano, approfittando di un momento di minore resistenza alle malattie, si risveglia dal suo letargo e produce il fuoco di Sant Antonio.
Oltre al bruciore, all’arrossamento e alle bolle della pelle, nella maggior parte dei casi il fuco di Sant Antonio non provoca altri problemi: nel giro di poche settimane il bruciore, che nei primi giorni è violento e quasi intollerabile, regredisce e sulla pelle, al posto dell’arrossamento e delle bolle, restano piccole cicatrici biancastre. In un certo numero di casi, però, specialmente negli anziani, l’evoluzione della malattia non è così favorevole: infatti, mentre l’arrossamento e le bolle sulla pelle guariscono entro poche settimane, il dolore persiste per molti mesi, poi tende a migliorare e finalmente a risolversi. In qualche caso ancor meno fortunato, guarita la pelle, il bruciore continua…per sempre ed anche dopo molti anni il paziente continua a lamentarsene assieme ad una sensazione di stiramento, di piccoli spilli sotto la pelle e spesso ad una sensazione particolarmente sgradevole che si ripresenta ogni volta che quella zona viene toccata leggermente o sfiorata da un indumento o da un lenzuolo. In questi casi parla di “nevralgia post-herpetica”, una malattia non grave per la sopravvivenza del paziente ma gravissima per la sua qualità di vita.
Alcune osservazioni su questa malattia meritano un breve commento: innanzitutto, nonostante nei primi giorni il fuoco di Sant Antonio sembri una malattia della pelle che si esprime con l’arrossamento, le bolle ed il dolore bruciante, il vero problema non è la pelle (che guarisce sempre) ma il sistema nervoso. Il virus infatti provoca un particolare tipo di danno nervoso che, se abbastanza grave, causa il dolore neuropatico.
Consigli a chi si ammala di herpes zoster:
Alla comparsa di dolore, arrossamento e bolle della pelle dev’essere immediatamente consultato il medico. In questa prima fase, in tutti i pazienti la terapia prevede la somministrazione di agenti antivirali (da proseguire per 7-10 giorni a piene dosi) e di analgesici (da assumere regolarmente finchè persiste il dolore urente).
Se il dolore è particolarmente severo o se il paziente ha più di 60-65 anni, entro i primi 10-15 giorni dalla comparsa del dolore, dell’arrossamento e delle bolle sulla pelle, oltre al trattamento antivirale, il paziente dev’essere sottoposto ad un blocco peridurale selettivo. Si tenga presente che il blocco peridurale, eseguito nei primi 10-15 giorni dalla comparsa dei sintomi, è in grado di abolire subito il dolore e di impedire il prodursi della nevralgia post-herpetica.
Se il dolore è presente da più di 1-2 mesi, la situazione è decisamente più grave: i farmaci antivirali sono ormai inutili perché ormai l’infezione è già superata ma sono rimasti i danni nervosi. E’ possibile che già in questa fase gli analgesici siano inefficaci. Di qualche utilità possono essere i farmaci per i dolore neuropatico. In questa fase ancora possibile una guarigione spontanea nel volgere di qualche mese, ma nessuna previsione può effettivamente essere avanzata.
Se il dolore è presente da più di un anno si è senza dubbio nella condizione definita nevralgia post-herpetica ed è assai probabile che ormai la situazione non sia più suscettibile di remissioni o miglioramenti spontanei e spesso neppure a seguito della terapia. In questa fase è possibile che gli analgesici siano inefficaci (inclusa la morfina).
A volte il dolore risponde almeno in parte ai farmaci per il dolore neuropatico o ad altre terapie come l’elettrostimolazione del midollo spinale. Nessuna terapia, però, è sicuramente efficace: l’impotenza terapeutica in questa fase conclamata di malattia giustifica il trattamento relativamente aggressivo che si è proposto nella fase iniziale della malattia, volto a prevenirne l’infausta evoluzione.